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MANGIARE
"L’alimentazione contadina nell’Est Ticino*"


Cassöla, polenta e bruscit, büseca, rustìva, torta di sangue, furtavìn, brusavèla, carsènsa, piota, michelacc, pan meìn, pan cott, mariéta fresca, ris e erburin, pirlascia, ris in càgnon, rüsümada... scorrendo le schede qui proposte, che riprendono i “piatti tipici” indicati da coloro che hanno contribuito, attraverso la compilazione di un questionario o la partecipazione ai forum di discussione, alla mappatura del patrimonio materiale e immateriale dell'Est Ticino, è bene tenere a mente qualche considerazione:

I piatti elencati vanno considerati soltanto una “fetta” dell'intera espressione del patrimonio materiale e immateriale (non solo alimentare) ereditato dal mondo contadino.
Dietro al piatto, come dietro al titolo “Mangiare” attribuito a questa sezione, c'è molto di più che il semplice consumo, c'è un intero contesto alimentare.
Esso è definito innanzitutto dalle coordinate spazio e tempo, un determinato territorio e una stagionalità, all'interno delle quali emergono diverse varietà di specie viventi animali e vegetali (la biodiversità) che, selezionate, sviluppano una propria filiera: dalla materia prima al piatto o alla preparazione.
Ma soprattutto va sottolineato che l'alimentazione e le attività produttive che la rendono possibile, sono il risultato non solo di un processo naturale (la crescita di piante e animali), ma anche dell'agire umano, e l'azione dell'uomo è carica di significati culturali.
La scelta e la “costruzione” del territorio, la selezione dei prodotti, il calendario, le lavorazioni, le modalità di consumo, le interazioni tra le filiere, sono solo alcuni esempi di ciò che l'analisi del contesto alimentare chiama in causa.

Tramite la possibilità di navigare tra le schede e grazie alle “voci” che ci hanno aiutati nella nostra ricerca, speriamo di riuscire a dare un “assaggio” della complessità di questo sistema

Nel presentare le schede di approfondimento delle diverse materie prime, preparazioni, piatti, possiamo seguire il filo conduttore della scansione temporale, ovvero l'andamento dell'anno “folklorico”, l'anno del mondo popolare, frutto del sovrapporsi di cicli stagionali, e di momenti di festa o riposo appartenenti al calendario liturgico e non solo.
Bisogna innanzitutto distinguere tra la stagione invernale, tradizionalmente improduttiva per via della sospensione delle attività agricole, e il resto dell'anno, che vede l'avvicendarsi dei lavori di semina, cura e raccolto delle diverse colture.
Alla quotidiana fatica si contrappongono momenti di festa, date ben individuate all'interno del calendario e celebrate anche con il consumo di “qualcosa di diverso dal solito”, sono Natale, Pasqua, il Santo Patrono ecc.

A Natale portavamo in stalla il tavolino, il tavolinetto che avevamo in giro, non quello che avevamo in mezzo alla casa, un altro. Ed eravamo tutti contenti perché pulivamo, scopavamo per terra, eravamo là tutti puliti! Perché c'era l'oca, c'era sempre qualcosa a Natale... magari qualche noce, la frutta, il mandarino, le arance, magari si tagliava giù un po' di salame... c'era sempre qualcosa di diverso! (Rosa, 1932, S. Stefano Ticino)

Tutti questi momenti hanno un andamento ciclico, come è un ciclo il trascorrere dell'anno; in questo senso esso rappresenta un limite ma anche una certezza, sulla base della quale, attraverso la conoscenza di generazioni, è possibile,  di volta in volta, sperimentare delle novità.
Infine, va detto, l'anno non è solo un ciclo in sé, ma anche l'insieme di cicli più piccoli e legati tra loro: il giorno, la settimana, il mese: anche al loro interno si individuano momenti di moto - di lavoro - e di stasi, come la Domenica, il giorno di festa settimanale che si riconosce come tale anche, e ancora una volta, per la diversità di ciò che viene mangiato

[Alla domenica] mattina andavamo a Messa verso le sei, andavamo a casa avevamo un pezzo di carne - quella più scadente che c'era - su a bollire e si faceva la zuppa con quel brodo lì. Per noi era una manna dal cielo! A mezzogiorno ancora col brodo, facevamo il risotto, e il brodo cominciava a diventare già più magro... alla sera quella carne non aveva addosso più niente! Carne e patate! (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)

Attraverso questi differenti “ritmi” è possibile tracciare il percorso dei vari elementi che contribuiscono a creare il contesto alimentare contadino.

Se prendiamo in considerazione le materie prime alla base dell'alimentazione contadina nella nostra zona, cereali, ortaggi, carne, uova, latte, notiamo subito che mentre alcuni si basano su una disponibilità “larga” nel corso dell'anno, altri hanno in questo senso una durata più breve.
La possibilità di disporre a lungo di un prodotto dipende dalla facoltà di poterlo conservare: ad esempio granoturco e frumento, raccolti durante la stagione estiva, consegnati al mugnaio e macinati, venivano in parte venduti e in parte utilizzati (sopratutto il granoturco), per produrre pane e polenta per tutto l'anno.


Passava il murnè, era di Boffalora. Veniva a prendere il granoturco e il giorno dopo, o un paio di giorni dopo, portava indietro la farina. La rubava tutta... ne rubava metà! E dopo lo usavamo per fare la polenta. Invece il frumento lo vendeva tutto, la mia famiglia. Per il pane si usava farina di granoturco, pochissima di frumento, perché costava di più. (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)

Frutta e verdura erano invece presenti per periodi più brevi, a parte alcuni casi non si potevano conservare e andavano consumate nella “loro” stagione. Sfuggivano a questa sorte patate, fagioli, zucche che, conservati sotto il letto o in locali adiacenti alla stalla, venivano consumati durante l'inverno.

Facevamo sette o otto sacchi di patate, che dopo li mettevamo in stalla, dove c'era il granoturco […] avevamo il tavolo dei bachi da seta, allora facevamo i piani, mettevamo su le patate e poi le coprivamo con le coperte, con i sacchi, perché gelava. E le verze le portavamo a casa dalla vigna e le interravamo in giardino […] perché d'inverno passavano i pastori con le pecore e mangiavano tutto. (Rosa, 1932, S. Stefano Ticino)

Un discorso a parte riguarda invece il vino, che nella nostra zona era prodotto, non da tutte le famiglie, soprattutto per l’autoconsumo.

I prodotti di origine animale avevano una presenza variabile sulle tavole dei contadini: uova e latte, ad esempio, c'erano tutto l'anno, ma il loro consumo era fortemente limitato.

Quando non ce l'avevamo [il latte] perché la mucca restava ferma due mesi perché doveva partorire, allora quei due due mesi lì andavamo a prenderlo da un'altra persona, e si faceva a cambio, quando non ce l'aveva lei... andavamo a prenderlo con il mès litar, una caldarinéta... dopo era più acqua che latte che mangiavamo, perché la chiamavano acqua da bota... era color del cielo, lo allungavamo, ne portavamo a casa poco e lo allungavamo con l'acqua. (Rosa, 1932, S. Stefano Ticino)

Io e mio cugino […] abbiamo rubato tante di quelle uova! Non c'era tutto quello che c'è adesso, frutta, eccetera... magari [le galline] le facevano in giro,  e allora noi li rubavamo […] e uno faceva la guardia a vedere se arrivava la mamma, o la zia, le nascondevamo e poi andavamo dalla Bice [la fruttivendola], a farci dare le spagnolette in cambio! Chissà cosa ha guadagnato! E noi che non potevamo parlare perché le avevamo rubate in casa... (Vittoria, 1917, Arluno)


La carne si mangiava solitamente di Domenica o nelle feste più importanti: una famiglia possedeva di solito qualche gallina, l'oca che tradizionalmente si uccideva per Natale, qualche bovino.

Tenevamo sempre una manza e una manzetta […] la vecchia la tenevamo perché ormai andava da sola, quando faceva il vitello se era una femmina la tenevamo, le facevamo fare il primo vitello e poi la vendevamo […] e poi mio papà portava a casa sempre un altro vitello, ne allevava due, non solo quello della sua vacca. E ingrassavano: gli dava tutto latte e la linùsa, la farina di semi di lino... (Rosa, 1932, S. Stefano Ticino)

Ma era il maiale a costituire uno degli elementi portanti dell'alimentazione contadina. Il momento della sua macellazione rappresentava un vero e proprio momento di festa, in cui per uno o più giorni si mangiava molto più sia in quantità che in sostanza. Le diverse parti del maiale venivano saggiamente suddivise a seconda della possibilità/modalità di conservazione e il loro consumo procrastinato in parte fino all'estate successiva.
Accanto a questi prodotti, frutto del lavoro agricolo e dell'allevamento praticato dalle famiglie di contadini, esistevano poi tutta una serie di prelievi, di piante selvatiche, uccelli, rane, ecc. frutto di quella trasmissione di saperi di cui si è detto, oppure della furbizia del momento. Essi potevano in qualche circostanza dare gusto (e sostanza) alle preparazioni quotidiane.

Andavamo nei campi, sulle rogge a cogliere la verzöra, il furmentìn, i popùl e poi li facevamo cuocere, li mangiavamo così, se avevamo le uova delle galline li mettevamo insieme. (Vittoria, 1917, Arluno)

Andavamo sul ponte a prendere [le rane], a metà della roggia c'era il soltagata, le rane le vedevamo quando venivano. Noi eravamo lì sul ponte, allora non c'era il parapetto, il ponte era libero, e stavamo là sdraiati […] e con un secchio, quando le vedevamo... ma non ero mica da sola! (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)


A cura di Bianca Pastori


Trova il percorso
 "Le materie prime, le preparazioni e i piatti"


Approfondimenti
  • Cardini F., La cultura folklorica, Busto Arsizio, Bramante editrice,1988.
  • Comincini M. (a cura di), La terra e l’uomo, Società Storica Abbiatense, vol.1, 1992.
  • Comincini M. (a cura di), La terra e l’uomo, Società Storica Abbiatense, vol.2, 1993.
  • Cornelio G., Ossola F. (a cura di), Atlante dei prodotti tipici, Milano, Regione Lombardia, 1988.
  • Della Peruta F., Leydi R., Stella A. (a cura di), Milano e il suo territorio, Silvana Editoriale, Milano, 1986.
  • Fabiano F., Viaggio nella memoria. Tra ambiente e storia, Pro loco Santo Stefano Ticino, 2003.
  • Fagone V., Sordi I. (a cura di), Lunario lombardo: il mondo popolare in Lombardia, Banco Ambrosiano, Milano, 1976.
  • Grimaldi P., Il calendario rituale contadino. Il tempo della festa e del lavoro fra tradizione e complessità sociale, Franco Angeli, Milano, 1993.
  • Harris M., Buono da mangiare. Enigmi del gusto e consuetudini alimentari, Einaudi, Torino, 1990.
  • Montanari M., Il cibo come cultura, Laterza, Roma-Bari, 2004.
  • Montanari M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-Bari, 1997.
  • Parmigiani G., Sturaro G., Vita contadina nel '900. 1900-1939, Associazione “Amici da la Priàa”, Robecco sul Naviglio, 2006.
  • Pisìga Murniga. Arluno e il suo dialetto, Gruppo di storia arlunese, Arluno, 1990.
  • Riva M., Nistri R., Paolazzi M., Per un codice della cucina lombarda. Atlante tipologico e nutrizionale di 100 formulazioni regionali, Milano, 2001.
  • Sapori perduti e... ritrovati. Ovvero a tavola con i nostri nonni, Circolo “Al Barchett”, Biblioteca comunale, Comune di Boffalora sopra Ticino.
  • Teti V., Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell'alimentazione mediterranea, Meltemi, Roma, 1999.
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* Questa pagina e le successive sono il risultato di una ricerca sui cibi e le usanze del mondo contadino nella nostra zona. Siamo partiti dai questionari raccolti sul territorio e dalle risposte emerse dai forum di discussione finalizzati alla mappatura del patrimonio materiale e immateriale dell'Est Ticino, ci siamo poi concentrati sulla ricostruzione di un particolare “contesto”: il mondo contadino indicativamente dai primi decenni del '900 al secondo dopoguerra.
In virtù dell'impostazione “partecipativa” alla base della Mappa di comunità in corso di realizzazione, lo strumento principale utilizzato per questa ricerca è stato quello dell'intervista. Sono stati e saranno realizzati una serie di colloqui con persone appartenenti a diversi Comuni della Mappa che abbiano memoria del contesto alimentare cui abbiamo fatto accenno.