Per
quanto
riguarda la cassöla (o cassoeula), oggi uno tra i piatti
più
conosciuti della cucina lombarda, proponiamo di seguito
tre
testimonianze:
Innanzitutto una contestualizzazione di tipo storico e
antropologico
che ci dà conto di alcune ipotesi sulle origini e lo
sviluppo di questo
piatto e ne spiega il legame con la macellazione del
maiale e con la
figura di Sant’Antonio abate.
Di seguito viene indicata invece la ricetta vera e
propria, ricavata
dal confronto tra la sua versione scritta (presente in
una raccolta di
ricette della nostra zona) e una testimonianza orale.
Essa va letta con
un’avvertenza: nel mondo popolare non esistevano
ricettari, che
appartengono invece all’ambiente borghese, le diverse
ricette venivano
invece apprese attraverso la pratica e adeguate alle
circostanze,
quindi l’“andare ad occhio” era più importante delle
quantità degli
ingredienti dei tempi di preparazione “giusti”
La cassoeula detta anche cazzuola, cassuola (=
casseruola, dim. di
cazza, tegame) o bottaggio (da botte, con lo stesso
significato, ma più
probabilmente dal fr. potage = minestra, da pot =
pignatta), analoghi
ai termini olla (sp. = pignatta, da cui olla podrida) e
potée (fr.
pentola, da cui potée bourguignonne, lorraine ecc.)
indicanti
preparaziodni simili.
Della cassoeula si trovano versioni, variamente
denominate, in alcuni
paesi mediterranei e in molte regioni d’Italia, persino
in Sicilia e in
Sardegna.
In Lombardia ogni zona ha il suo bottaggio tradizionale,
ma è
abituale una grande elasticità nella scelta degli
ingredienti: verze e
cotiche per versioni essenziali, carne di maiale con
salsicce e verdure
varie nelle versioni più ricche, carni di pollo e di
volaille in
aggiunta ad altri ingredienti per le versioni ancora più
raffinate.
Rispetto al passato oggi si tende a sottoporre le
costine, il piedino e
le salsicce ad una scottatura per sgrassarli.
Tradizionalmente si
prescriveva l’uso di verze che avessero raccolto la
brina invernale,
più dolci, più asciutte, e più tenere rispetto a quelle
raccolte
precocemente. Per le verze non gelate occorrerà
prolungare la cottura
di 30 – 45 minuti, mettendole sul fuoco prima degli
altri ingredienti.
La cassoeula è un tipico piatto invernale che taluni
vogliono
connettere alla ritualità domestica per la figura di
Sant’Antonio
abate. I legami antropologici tra il santo eremita e il
porco, tra i
suoi festeggiamenti (17 gennaio) e la macellazione del
maiale sono
fuori discussione.
L’inserimento del maiale nella ritualità antoniana
si sviluppa nel tardo Medioevo e prende le forme
di una
giustificazione a posteriori rispetto ad una mitologia
(e alla
conseguente iconografia) non più decifrabile nelle sue
reali
connotazioni sacrali. Nella codificazione oggi più
diffusa, la
cazzoeula può esser fatta risalitre agli inizi del
nostro secolo. Le
origini di un piatto così complesso sono comunque
oscure.
C’è chi si
ritiene si sia aggregato, nel corso dei secoli, attorno
ad un
originario nucleo di verza e cotenne di maiale,
tipicamente padano. C’è
chi, al contrario, ritiene non sia se non la progressiva
semplificazione di un potaggio meridionale, giunto nella
regione
attraverso la dominazione spagnola, o il
ridimensionamento di un piatto
della cucina barocca, contenente carne di diversi
animali, elaborato
dalla gastronomia aristocratica a partire da quella
oglia
registrata da Bartolomeo Scappi nella sua Opera (1570).
Quasi tutti i
ricettari fino al XIX secolo sembrerebbero convalidare
questa ultima
ipotesi, indicando per la cassoeula ingredienti molto
vari e
prescrivendo quasi sempre la carne e le interiora di
pollo.
Crediamo
sia avanzata l’ulteriore ipotesi che la versione povera
(verze e
cotiche, avvicinabile agli ambiti della ritualità
popolare per
Sant’Antonio) e quelle più elaborate possano vantare
origini separate e
che dopo la metà del secolo scorso abbiano messo in
comune soltanto il
nome, a partire dall’affinità delle tecniche di
preparazione e dalla
comunanza di alcuni ingredienti.
Tratto da: M.
Riva, R. Nistri, M. Paolazzi, Per un codice della cucina
Lombarda, pubblicazione a cura della Regione Lombardia –
direzione
genreale Agricoltura, 2001, p. 98.
[La cassöla] si mangiava quando si uccideva il
maiale e basta...
c'erano le due parti del maiale, tiravamo via due
costine alla volta, ma
non restava lì tanto, perché non avevamo
frigorifero né niente...
quelli che ammazzavano due maiali, le davano via
persino, le costine,
perché più di tanto non sta lì, e dopo quando si
mangia [la carne] non
è più bella fresca.
Ingredienti:
dosi per 6-8 persone
gr. 800 di costine di maiale, gr. 400 di cotenne, un
pezzo di musetto,
d'orecchia e di codino di maiale, un pezzo di pancetta,
2 grosse verze
– 3 belle carote, 2 gambi di sedano – una cipolla, brodo
– olio
d'oliva, burro q.b. - sale e pepe.
Usate una capace casseruola.
Affettate la cipolla e la pancetta e fatele soffriggere
con una
cucchiaiata di olio e una noce di burro, quindi
aggiungete le costine,
le cotenne e tutte le altre parti del maiale, dopo
averle accuratamente
pulite.
Le costine di maiale si tagliano piccole o
grosse come si vuole, si
mettono in una pentola, con poco condimento perché
è una carne che già
lascia giù... si mette dentro un po' di cipolla,
un soffritto, o la
salsa, quella più concentrata. Se si fa con le
cotenne si mettono
dentro prima, si cuociono un pochino e poi si
mettono le costine. Poi
un bel bicchierone di vino nero, Barbera, e si
cuoce così col suo sugo.
Fate rosolare bene il tutto, poi togliete questi
ingredienti e nel
recipiente mettete le carote e il sedano tritati
finemente. Salate,
pepate e cuocete lentamente per circa 10 minuti.
Rimettete la carne
precedentemente tolta e fate cuocere per circa un'ora
mescolando di
tanto in tanto, aggiungendo eventualmente del brodo nel
caso si
asciughi troppo.
Quando
è quasi cotta, io vado un po'
a occhio […] quando la costina lascia un sugo un
po' bello... denso, si
mette dentro la verza che si mischia. Per come
la faccio io [le foglie
esterne delle verze] vanno lavate, sbriciolate
bene e [la parte] in
mezzo invece, il cuore della verza, non si lava
perché resta più buona
così la cassöla. Si mette il coperchio fino a
quando ghe palpà i vers,
quando appassiscono, si mescola, fino a quando è
cotta la verza e quasi
cotta la costina per compensare la verza. Un po'
di pepe e tanto alloro
e l'erba salvia, si mettono con la costina. Si fa andare
pian piano, un'oretta, un'oretta e mezza,
bisogna assaggiarla. La verza va
controllata, non deve essere troppo cotta perché
se no si disfa tutta. (Eugenia, 1926, S. Stefano
Ticino)
Dopo aver lavato e mondato le verze, togliendone le
coste, mettetele
nella casseruola e continuate la cottura per circa ½
ora, regolate di
sale e servite preferibilmente con polenta caldissima.
Tratto da:
Sapori perduti e... ritrovati. Ovvero a tavola con i
nostri
nonni, Circolo “Al Barchett”, Biblioteca comunale,
Comune di Boffalora
sopra Ticino, p.22.