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Sovracomunale
Patrimonio della comunità

"ALIMENTAZIONE CONTADINA"


Latte e latticini
Il latte e i suoi derivati offrono un ottimo spunto per comprendere quanto il contesto alimentare di una certa zona, in questo caso quella dell'est Ticino, sia il risultato di tutta una serie di variabili, di un gioco di incastri nel quale rientrano non solo fattori climatici e ambientali, ma anche sociali, economici e culturali.

Questa zona è infatti una delle prime in cui si sviluppa una agricoltura estensiva, caratterizzata dall'alta produzione di colture cerealicole, ma anche foraggere che, come abbiamo già detto nella scheda riservata agli animali, permette un forte sviluppo anche nel settore dell'allevamento.
E proprio passando dalla ricchezza del patrimonio zootecnico possiamo comprendere l'importanza del settore lattiero-caseario che si fondava, in passato, sull'utilizzo dei prati iemali, le marcite, in grado di garantire un numero di tagli superiore a quelli del prato stabile.
Dove le marcite non erano presenti, un costante afflusso d'acqua era invece garantito da una fitta rete di canali anche artificiali in grado di sostenere l'attività agricola.

Le statistiche del 1840 […] segnalano nel nostro distretto l'esistenza di 32 «cosiddetti caselli, o casoni, cioè fabbriche di formaggio»: 10 ad Abbiategrasso, 6 ad Albairate, 4 ad Ozzero e a Robecco, 3 a Cisliano, 2 a San Vito, 1 a Bestazzo, Bugo e Ravello.
Le mucche che forniscono il latte per questi casoni sono complessivamente 2024 […] se una mucca dà latte sufficiente a produrre circa 1 quintale e mezzo di formaggio all'anno – ma anche 60 chili di burro- nel distretto di Abbiategrasso, nel 1840, si producevano quindi, con oltre 2000 mucche, circa 3200 quintali di formaggio. […]
La statistica riguarda i formaggi con l'esclusione però del gorgonzola, detto allora stracchino, a proposito del quale […] «in Albairate e in Magenta vi sono pure tre fabbriche di stracchini, cioè una di un'eccellente qualità in Albairate, e due di buona, ma proporzionalmente alla prima di inferiore qualità in Magenta. Gli stracchini di Albairate in buona parte si spediscono a Gorgonzola dove si spacciano per prodotto locale. A circa novanta vacche ascende il numero delle bestie per le anzidette fabbriche. Nelle altre Comuni del distretto (oltre a quelli appunto prima ricordati) non vi sono fabbriche di formaggi né di stracchini per essere asciutti i loro territori» [M. Comincini (a cura di), La terra e l'uomo, Società Storica Abbiatense, 1992, vol.1, p. 115]

Questa introduzione deve servire da contestualizzazione storica generale, ma nelle famiglie che cosa accadeva? Qui i latte non era certo una risorsa così abbondante: abbiamo visto che gli animali di proprietà dei piccoli contadini non erano molto numerosi, solitamente si possedeva una sola vacca da latte che, per di più, restava ferma per alcuni mesi.
Il poco latte prodotto giornalmente si beveva, magari allungato con acqua, o, più raramente e sopratutto in tempo di guerra, lo si usava per preparare in casa il burro o il formaggio stracchino.

Il burro [si faceva] nella fiaschetta, mia mamma usava una fiaschetta spagliata, metteva dentro la panna e [agitava] finché non si faceva il burro. Dopo bevevamo il lacèt [latticello ovvero il liquido residuo che si separa dal grasso] perché rinfrescava [...] Il burro lo conservavano per fare il risotto alla domenica, non troppo durante la settimana, solo un cucchiaino, e il lacèt lo dividevamo tra di noi […] Il burro era sempre poco perché il latte se non lo lasciava non faceva la panna, se lo dava al vitello non si poteva fare il burro. Per conservarlo c'era la müschiröla. (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)

Si comprava il burro quando bisognava fare il risotto, o a Natale o a Pasqua, ma se no non si comprava... dopo quando abbiamo avuto le bestie e anche d'inverno avevamo il latte, facevamo anche il burro con la pinogia [zangola] che faceva venire fuori quel lacèt lì che era buono, lo mangiavamo la sera con il pane, e il burro lo mettevamo via, o che lo schiacciavi o che facevi una pallottola. (Rosa, 1932, S. Stefano Ticino)

Formaggio ce n'era poco... non eravamo capaci di farlo, mia nonna faceva il formaggino, mia mamma no. Quello che restava scremato dal burro, facevano il formaggino […] mia nonna aveva proprio il quadro apposta, come quello del taleggio. Era un formaggio fresco, bisognava mangiarlo subito perché faceva la muffa.  (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)

Non si usava andare a comprare il formaggio... mio papà lo faceva lui con il grasso, con la cagià, fatta di latte fermo, lui faceva il formaggio: faceva una cassetta di legno con i buchi e mettevamo dentro i brandelli di lenzuola, consumati […] si faceva scolare e facevamo il quadretto di stracchino. Un formaggio fresco, che poi magari lo lasciava là a stagionare, gli metteva su il pepe e la drogarìa […] mangiavamo magari un pezzetto di formaggio, ma lo tenevamo da conto. (Rosa, 1932, S. Stefano Ticino)

Le aziende agricole di più ampie dimensioni provvedevano invece a consegnare direttamente la propria produzione di latte ai casoni, dove esso veniva lavorato e poi commercializzato sotto forma di burro o formaggi.