Descrizione
Agli inizi dell’età imperiale di Roma antica (I sec d.C.)
la viticoltura era molto estesa e la conseguente riduzione di altre
coltivazioni (quale quella dei cereali), indusse Domiziano a vietare la
creazione di nuovi vigneti e ad imporre di espiantare metà delle vigne
esistenti nelle provinciae romane.
Il legionario romano, durante le conquiste, aveva la consegna di impiantare
vigneti e di insegnare alle popolazioni indigene la tecnica della vitienologia.
Così, la coltivazione della vite si diffuse ben presto in tutti i territori
conquistati da Roma: in Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e nord Africa.
L'importanza che assumeva la coltivazione era così
fondamentale che Virgilio, nel libro II delle Georgiche, dedica alla vite ben
160 versi.
Collibus
an plano melius sit ponere vitem,
quaere prius. si pinguis agros metabere campi,
densa sere (in denso non segnior ubere Bacchus);
sin tumulis accliue solum collisque supinos,
indulge ordinibus
Se
in collina o in piano sia meglio porre la vite, è il tuo primo
problema. Se assegnerai alle viti campi di una pianura grassa,
piantale fitte: quando la piantagione è fitta, Bacco non è meno
solerte a produrre. Se hai un terreno accidentato di rialzi
e colline dal lieve pendio, dà più spazio ai filari
Georgiche II, 273-277
Nella gallia cisalpina (l'attuale pianura padana) la vite
era già coltivata secondo l'uso delle popolazioni locali, i celti. Essa era
fatta crescere addossata ad alberi in particolare l'acero che formavano
filari che bordavano i campi coltivati. Questa coltivazione era chiamata dagli
antichi romani "Arbustum gallicum".
Nella Pianura Padana, con la dissoluzione dell’Impero Romano, fu abbandonata la
coltivazione della vite nelle zone pianeggianti e di fondovalle, mentre vennero
mantenuti i vigneti delle zone collinari e montane sia all’interno dei borghi
fortificati sia all’esterno, in siti ben collocati climaticamente e ben esposti
ai raggi solari.
Con il XII secolo, in pianura si riprese la coltivazione
delle viti in coltura promiscua con i cereali secondo l’uso dell’arbustum
gallicum; dal XV secolo gli alberi, ai quali erano maritate le viti, furono
sostituiti con il gelso, considerato più redditizio per l’allevamento del baco
da seta. In seguito l’importanza della vite crebbe e raggiunse il suo apice nei
secoli XVIII e XIX, quando gran parte dell’Alto Milanese era coltivato a
cereali e vite.
Con la seconda metà del XIX secolo, iniziò il declino della
vite in pianura e nei nostri territori a causa di malattie devastanti. Oggi la
sua coltivazione è limitata ai giardini urbani e a qualche filare in campo
aperto, presso la frazione di Ravello di Parabiago.
Nel parco di via Virgilio a Parabiago, dove si snoda l’itinerario
virgiliano, nel corso del 2007 sono stati posti a dimora alcuni
filari di vite, maritati all’orniello e all'olmo. La distanza fra gli alberi e
fra i filari è quella del cosiddetto arbustum gallicum, in uso nella Pianura
Padana nel periodo dell’antica Roma e ben descritto da Columella nel suo
trattato di agricoltura De re rustica del primo secolo d.C. L’orientamento dei
filari inoltre, ricalca quello delle divisioni agrarie probabilmente compiute
in epoca imperiale, le cui tracce sono ancora oggi rilevabili nella cartografia
della zona.
All’epoca della dominazione austriaca e nei primi anni
successivi all’unità d’Italia, quando la vite divenne il punto forte
dell’economia agricola, il vino prodotto nella zona ed in particolare a
Parabiago e Busto Garolfo è segnalato in diversi trattati agricoli ed anche
nelle opere di vari letterati, tra cui Carlo Porta.
...Vorrev mettegh lì tucc in spallera
I nost scabbi, scialôs e baffiôs:
Quell bel limped e sodo d'Angera,
Quell de Casten brillant e giusôs,
Quij graziôs - de la Santa e d'Osnagh,
Quell magnifegh de Omaa, de Buragh,
Quell de Vaver posaa e sostariziôs,
Quell sinzer e piccant de Casal,
Quij cordial - de Canonega e Oren,
Quij mostôs - nett e s'cett e salaa
De Suigh, de Biassonn, de Casaa,
De Bust piccol, Buscaa, Parabiagh,
De Mombell,de Cassan, Noeuva e Dês,
De Magenta, de Arlun, de Varês,
E olter milla milion - de vin bon,
Che s'el riva a saggiaj, el PATRON,
Nol ne bev mai pu on gott forestee,
Fors el loda, chi sa, el cantinee,
E fors'anca el le ciamma, el ghe ordenna
De inviaghen quaj bonza a Vienna.