Quello
dei prelievi è un settore di secondaria importanza nell'ambito
dell'alimentazione contadina poiché non è un ambito su cui si faceva
affidamento, ma rappresentava un'integrazione saltuaria al regime
quotidiano.
Fanno parte di questo settore anche la caccia e la pesca, attività che
non verranno però trattate in questa scheda, che si occuperà invece del
“prelievo” di piccoli animali a scarsa mobilità (come le rane e i
passeri) e di specie vegetali spontanee quali erbe e frutta selvatica.
La differenza rispetto a ciò che siamo abituati a considerare come
caccia e pesca, sta nel fatto che le tecniche non sono, negli ambiti
esplorati in questa breve esposizione, codificate né dal punto di vista
degli strumenti né da quello del metodo; non a caso si tratta di
racconti i cui protagonisti sono per lo più bambini, per i quali il
tempo non lavorativo a disposizione poteva essere impiegato in attività
“di supporto” alla scarsa mensa famigliare.
Prelievi di piccoli animali
D'inverno, mi ricordo mio fratello che era maggiore di me... c'era giù
tanta neve, sempre tanta, non la portavano neanche via […] allora
mio fratello prendeva l'asse del carro che adoperavamo per andare a
prendere il granoturco alla vigna, un asse grossa, attaccava una corda
e poi [andavamo] in stalla, ero là anche io a guardar fuori da una
finestrella della stalla... quando andavano giù i passeri tirava la
corda... giù i passeri! […] D'inverno si vede che non sapevano dove
andare a mangiare, andavano vicino alla stalla perché dal fieno veniva
giù qualcosa da mangiare […] poi li prendevamo, li spellavamo e li
facevamo arrostiti.
Andavamo sul ponte a prendere [le rane], a metà della roggia c'era il
soltagata, le rane le vedevamo quando venivano. Noi eravamo lì sul
ponte, allora non c'era il parapetto, il ponte era libero, e stavamo là
sdraiati […] e con un secchio, quando le vedevamo... ma non ero mica da
sola! (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)
Prelievi di erbe e frutta selvatica
Le erbe selvatiche più note erano il germoglio di
luppolo (luertis), il papavero (popùl), la silene (verzöra), il
tarassaco (insalata mata) e la valerianella (panculdìn).
Queste erbe precoci, una volta lessate, potevano essere mangiate da
sole o, più spesso, unite alle uova per la preparazione di “frittate
verdi”
Andavamo a prendere la versöra nei prati, sulle rogge, il furmentìn,
c'è ancora adesso, non nei campi, nei negozi. I popùl […] le facevamo
cuocere, era come un'insalata. (Vittoria, 1917, Arluno)
Andavamo a prendere l'insalata dei prati... la catalogna e la facevamo
cuocere […] con le uova facevamo la frittata con quell'insalata lì che
andavamo a prendere, i popùl, i papaveri, quelli che fanno il fiore...
noi la foglia la chiamavamo popùla […] facevamo la frittata, la
lavavamo bene, la facevamo cuocere, e poi la [sminuzzavamo] bene […] la
verzöra […] erano tutte foglioline, c'era tanto da mondare. (Rosa,
1936, S. Stefano Ticino)
La frutta era una prelibatezza che non si poteva sempre acquistare,
quella che cresceva spontanea sulle piante selvatiche poteva però
fungere da felice rimpiazzo:
Mangiavamo quando c'era l'uva e le pesche... anche quando erano
piccolissime […] le portava a casa mio papà dalla vigna. Eravamo là ad
aspettare che arrivava a casa per mangiarle! Le pesche piccoline che
nascono con i peli perché sono tutte piante non inserite... noi le
chiamavamo persigh matt. (Eugenia, 1926, S. Stefano Ticino)
Mangiavamo i murunìt dei gelsi, perché in ogni cortile c'erano i gelsi per i bachi da seta. (Vittoria, 1917, Arluno)