La Vite
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Vitis vinifera
La Vite
Famiglia: Vitaceae
Collibus an plano melius sit
ponere vitem,
quaere prius. si pinguis agros metabere campi,
densa sere (in denso non segnior ubere Bacchus);
sin tumulis accliue solum collisque supinos,
indulge ordinibus
Se in collina o in piano sia meglio porre la vite, è il tuo primo
problema. Se assegnerai alle viti campi di una pianura grassa,
piantale fitte: quando la piantagione è fitta, Bacco non è meno
solerte a produrre. Se hai un terreno accidentato di rialzi
e colline dal lieve pendio, dà più spazio ai filari
Georgiche II, 273-277quaere prius. si pinguis agros metabere campi,
densa sere (in denso non segnior ubere Bacchus);
sin tumulis accliue solum collisque supinos,
indulge ordinibus
Se in collina o in piano sia meglio porre la vite, è il tuo primo
problema. Se assegnerai alle viti campi di una pianura grassa,
piantale fitte: quando la piantagione è fitta, Bacco non è meno
solerte a produrre. Se hai un terreno accidentato di rialzi
e colline dal lieve pendio, dà più spazio ai filari
Nel libro II delle Georgiche Virgilio dedica alla vite ben 160 versi, poiché questa coltivazione assumeva importanza fondamentale all’epoca. In questi versi il poeta prima offre alcuni suggerimenti sulla piantagione e sui lavori richiesti dalla vite: dalla zappatura, alla preparazione dei diversi sostegni, alla potatura e alla protezione dagli animali selvatici, poi passa ad occuparsi della cura delle vigne. La viticoltura era diffusa anche nell’Italia Settentrionale. La tecnica con cui era coltivata la vite in questa zona, fu chiamata dai romani arbustum gallicum cioè “piantata all’uso gallico”, anche se era già sviluppata prima dell’arrivo dei Galli (cioè le popolazioni celtiche). Secondo quanto scrisse Livio nella sua opera Ab urbe condita, fu un etrusco ad introdurre il vino in Gallia per vendicarsi del sovrano (il lucumone) che gli aveva sedotto la moglie. I Galli allora, richiamati proprio dal vino, attraversarono le Alpi ed occuparono i territori abitati in precedenza dagli Etruschi.
“Eam gentem traditur fama
dulcedine frugum maximeque vini nova
tum voluptate captam Alpes transisse agrosque ab Etruscis ante
cultos possessisse; et invexisse in Galliam vinum inliciendae gentis
causa Arruntem Clusinum ira corruptae uxoris ab Lucumone...”
La tradizione riporta che il popolo [dei Galli], attirato dalla dolcezza
dei prodotti della terra e soprattutto del vino, che allora
rappresentava una delizia nuova [per loro], abbia attraversato le
Alpi e preso possesso delle terre abitate in precedenza dagli Etruschi
e che il vino fosse stato portato loro da Arrunte di Chiusi,
spinto dall’ira verso la moglie sedotta dal lucumone.
Ab urbe condita Tito Livio V, 33tum voluptate captam Alpes transisse agrosque ab Etruscis ante
cultos possessisse; et invexisse in Galliam vinum inliciendae gentis
causa Arruntem Clusinum ira corruptae uxoris ab Lucumone...”
La tradizione riporta che il popolo [dei Galli], attirato dalla dolcezza
dei prodotti della terra e soprattutto del vino, che allora
rappresentava una delizia nuova [per loro], abbia attraversato le
Alpi e preso possesso delle terre abitate in precedenza dagli Etruschi
e che il vino fosse stato portato loro da Arrunte di Chiusi,
spinto dall’ira verso la moglie sedotta dal lucumone.
Con la tecnica dell’arbustum gallicum il vitigno cresceva appoggiandosi ad un “tutore vivo”, cioè un albero; il sostegno mutava secondo le morfologie del terreno: in collina e nella pianura asciutta si utilizzavano i tozzi aceri campestri, mentre nella bassa pianura si preferivano gli
svettanti pioppi, più adatti all’umidità del terreno. Tra un filare e l’altro, spesso, venivano coltivati i cereali. Questa tecnica, fu trasferita dai
Galli Insubri ai Romani, e poi trasmessa dai Romani alle popolazioni di tutto il Mediterraneo.