Virgilio

Le Bucoliche

Le Bucoliche (da bukòlos, bovaro, pastore) sono un poema ispirato alla poesia pastorale del greco Teòcrito: canti di pastori innamorati, nella cornice di una poetica mitologia. L’ambiente descritto è un paesaggio campestre idealizzato, nel quale tuttavia si possono riconoscere i tratti della Sicilia (patria di Teòcrito), dell’Arcadia (mitica regione del Peloponneso, patria del dio Pan) e della Pianura Padana, vale a dire le campagne conosciute da Virgilio fin dall’infanzia.
In questo paesaggio idealizzato, la vita dei pastori-poeti scorre serena, a contatto con una natura incontaminata. L’attualità della guerra irrompe in questo mondo agreste, spezzandone l’equilibrio: è un elemento di disturbo che sconvolge il normale scorrere della vita. Nelle parole di Melibeo, il pastore espropriato, c’è tutta l’amarezza di Virgilio per una situazione da lui stesso vissuta. Di fronte alla violenza e alla brutalità della guerra, l’unico conforto può venire da questo paesaggio idealizzato e dalla poesia. L’uomo può quindi trovare la felicità solo lontano dai tumulti della vita politica, recuperando il rapporto con la natura:

et, si quid cessare potes, requiesce sub umbra.
Huc ipsi potum venient per prata iuvenci;
hic virides tenera praetexit arundine ripas
Mincius, eque sacra resonant examina quercu
se puoi fermati, riposati all’ombra.

Qui verranno pei prati ad abbeverarsi i giovenchi,
qui il Mincio costeggia di tenere canne le rive,
e dalla sacra quercia si sentono ronzare gli sciami
VII, 10-13

Bucoliche


Le Georgiche

Di ancor più elevata perfezione stilistica, di struttura più armonica ed omogenea, sono le Georgiche (da gheorgòs, contadino). L’argomento dell’opera è sintetizzato nei primi versi: Virgilio intende cantare le attività dei contadini, con i tempi e le stagioni adatte ai vari lavori, la coltura delle piante, i metodi di allevamento del bestiame e infine l’apicoltura. L’ordine dei libri non è casuale, ma procede verso attività in cui l’apporto dell’uomo diventa sempre meno influente e, al contrario, la natura sempre più protagonista. Rispetto alla sua opera precedente, qui c’è più realismo: c’è il ritratto vero della vita nella campagna, coi suoi lavori duri ed ingrati, che Virgilio aveva avuto modo di conoscere nella sua infanzia. Non c’è più infatti il paesaggio illusorio e nostalgico delle Bucoliche: uomini, piante, animali sono colti nella loro piena e concreta essenzialità materiale. Una materialità, tuttavia, che nell’elevata vena poetica di Virgilio trasfigura e vivifica piante e animali, cogliendone un aspetto quasi umano, nell’amore con cui il poeta riesce a far emergere persino i loro moti “umanamente” affettivi. Virgilio attribuisce una grande dignità al lavoro del contadino: è un’attività faticosa, ma capace di dare splendidi frutti. La campagna è il luogo della pace, della giustizia e di ogni altra virtù, contrapposta alla città: luogo di corruzione e di discordie causate dall’ambizione e dal desiderio di ricchezze. Il contadino invece, attraverso il lavoro e il rapporto con la natura, può raggiungere la saggezza e la liberazione dai mali.

Quos rami fructus, quos ipsa volentia rura
sponte tulere sua, carpsit, nec ferrea iura
insanumque forum aut populi tabularia vidit
Egli raccoglie i frutti portati dai rami, prodotti volentieri e
spontaneamente dalle sue campagne.
Non sa nulla delle leggi di ferro,
dei deliri del foro, dei pubblici archivi
II, 500-502



L'Eneide

Con l’Eneide Virgilio affronta il filone epico, ponendosi così in competizione con Omero. Sceglie infatti di narrare le vicende di Enea, l’eroe troiano capostipite della gens Iulia – alla quale apparteneva lo stesso Ottaviano – fuggito con il figlio e il vecchio padre dalla città in fiamme, per cercare una nuova patria al di là del mare. Pur riallacciandosi ai poemi omerici, esistono tuttavia sostanziali differenze fra questi e l’opera di Virgilio. Enea non affronta l’ignoto spinto dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza, come invece aveva fatto Ulisse, ma per obbedienza ad un disegno divino. L’eroe virgiliano non combatte – come Achille – per ottenere onore e gloria, ma solo perché costretto: la guerra inoltre, nell’Eneide avrà come fine la fondazione di una città (la futura Roma), l’Iliade invece terminava con la distruzione di Troia. Enea si presenta quindi come l’incarnazione di tutte le virtù e i valori su cui in passato poggiava la grandezza di Roma, e che Augusto intendeva ripristinare: egli è infatti pius sia nei confronti degli dei – in quanto ne rispetta sempre il volere – sia nei rapporti umani, comportandosi sempre secondo i principi della giustizia. Umiltà, senso della misura e rispetto per la patria e la famiglia: sono queste le qualità che il nuovo eroe deve dimostrare di possedere, qualità condivise dallo stesso Virgilio.

«Haec» inquit «limina victor
Alcides subiit, haec illum regia cepit;
aude, hospes, contemnere opes et te quoque dignum
finge deo rebusque veni non asper egenis».
«Queste soglie l’Alcide (Ercole)
varcò vittorioso e la reggia che vedi lo accolse.
Osa spregiare le ricchezze, ospite, e renditi degno
del dio, e vieni con animo incline alle povere cose».
VIII, 362-365



Eneide


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