Ecomuseo del Paesaggio

 Mappa interattiva della Comunità di Parabiago

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Boldorini racconta la “vigna”



Per approfondimenti


pagine correlate:

- Itinerario virgiliano


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Registrazioni audio della cena narrante del 2009:

1 - Marina Pastori legge Virgilio (mp3 3,8 Mb)
2 - Sergio Parini legge Carlo Porta (mp3 16 Mb)
3 - Max Gini spiega i vini scelti (mp3 7 Mb)



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Mappa: (C) 2007 Patrizio Croci

Le viti a Parabiago

Agli inizi dell’età imperiale di Roma antica (I sec d.C.) la viticoltura era molto estesa e la conseguente riduzione di altre coltivazioni (quale quella dei cereali), indusse Domiziano a vietare la creazione di nuovi vigneti e ad imporre di espiantare metà delle vigne esistenti nelle provinciae romane.
Il legionario romano, durante le conquiste, aveva la consegna di impiantare vigneti e di insegnare alle popolazioni indigene la tecnica della vitienologia.
Così, la coltivazione della vite si diffuse ben presto in tutti i territori conquistati da Roma: in Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e nord Africa.

L'importanza che assumeva la coltivazione era così fondamentale che Virgilio, nel libro II delle Georgiche, dedica alla vite ben 160 versi.

Collibus an plano melius sit ponere vitem,
quaere prius. si pinguis agros metabere campi,
densa sere (in denso non segnior ubere Bacchus);
sin tumulis accliue solum collisque supinos,
indulge ordinibus

Se in collina o in piano sia meglio porre la vite, è il tuo primo
problema. Se assegnerai alle viti campi di una pianura grassa,
piantale fitte: quando la piantagione è fitta, Bacco non è meno
solerte a produrre. Se hai un terreno accidentato di rialzi
e colline dal lieve pendio, dà più spazio ai filari

Georgiche II, 273-277

Nella gallia cisalpina (l'attuale Pianura Padana) la vite era già coltivata secondo l'uso delle popolazioni locali, i celti. Essa era fatta crescere addossata ad alberi in particolare l'acero che  formavano filari che bordavano i campi coltivati. Questa coltivazione era chiamata dagli antichi romani "Arbustum gallicum".
 
Nella Pianura Padana, con la dissoluzione dell’Impero Romano, fu abbandonata la coltivazione della vite nelle zone pianeggianti e di fondovalle, mentre vennero mantenuti i vigneti delle zone collinari e montane sia all’interno dei borghi fortificati sia all’esterno, in siti ben collocati climaticamente e ben esposti ai raggi solari.

Con il XII secolo, in pianura si riprese la coltivazione delle viti in coltura promiscua con i cereali secondo l’uso dell’arbustum gallicum; dal XV secolo gli alberi, ai quali erano maritate le viti, furono sostituiti con il gelso, considerato più redditizio per l’allevamento del baco da seta. In seguito l’importanza della vite crebbe e raggiunse il suo apice nei secoli XVIII e XIX, quando gran parte dell’Alto Milanese era coltivato a cereali e vite.

Con la seconda metà del XIX secolo, iniziò il declino della vite in pianura e nei nostri territori a causa di malattie devastanti. Oggi la sua coltivazione è limitata ai giardini urbani e a qualche filare in campo aperto, presso la frazione di Ravello di Parabiago.

Nel parco di via Virgilio a Parabiago, dove si snoda l’itinerario Virgiliano, nel corso del 2007 sono stati posti a dimora alcuni filari di vite, maritati all’orniello e all'olmo. La distanza fra gli alberi e fra i filari è quella del cosiddetto arbustum gallicum, in uso nella Pianura Padana nel periodo dell’antica Roma e ben descritto da Columella nel suo trattato di agricoltura De re rustica del primo secolo d.C. L’orientamento dei filari inoltre, ricalca quello delle divisioni agrarie probabilmente compiute in epoca imperiale, le cui tracce sono ancora oggi rilevabili nella cartografia della zona. 

(tratto da AA.VV. Itinerario Virgiliano: itinerario letterario alla scoperta di Parabiago romana)

All’epoca della dominazione austriaca e nei primi anni successivi all’unità d’Italia, quando la vite divenne il punto forte dell’economia agricola, il vino prodotto nella zona ed in particolare a Parabiago e Busto Garolfo è segnalato in diversi trattati agricoli ed anche nelle opere di vari letterati, tra cui Carlo Porta.

 Scià on martìn…
...Vorrev mettegh lì tucc in spallera
I nost scabbi, scialôs e baffiôs:
Quell bel limped e sodo d'Angera,
Quell de Casten brillant e giusôs,
Quij graziôs - de la Santa e d'Osnagh,
Quell magnifegh de Omaa, de Buragh,
Quell de Vaver posaa e sostariziôs,
Quell sinzer e piccant de Casal,
Quij cordial - de Canonega e Oren,
Quij mostôs - nett e s'cett e salaa
De Suigh, de Biassonn, de Casaa,
De Bust piccol, Buscaa, Parabiagh,
De Mombell,de Cassan, Noeuva e Dês,
De Magenta, de Arlun, de Varês,
E olter milla milion - de vin bon,
Che s'el riva a saggiaj, el PATRON,
Nol ne bev mai pu on gott forestee,
Fors el loda, chi sa, el cantinee,
E fors'anca el le ciamma, el ghe ordenna
De inviaghen quaj bonza a Vienna.